Il nuovo lavoro di Tindaro Granata, presentato al Festival delle Colline Torinesi, martedì 4 e mercoledì 5 giugno racconta una crudele storia di pedofilia. E i personaggi descrivono il proprio smarrimento, che equivale alla perdita di una primitiva innocenza.
Angela Abbandono (cognome esemplare, n.d.r.) è una moglie che non ama il marito Agostino e dunque non è felice. Lui, dal canto suo, è succube della consorte e ha un rapporto ancor più morboso con la sorella Francesca.
Angela si illude di trovare la felicità nella relazione con Giovanni Tramonto, il capo di suo marito, all’apparenza un uomo tranquillo, che però vive la propria vita e le proprie relazioni personali con malcelata ambiguità. Questa illusione spinge la donna a occuparsi inadeguatamente della figlioletta, trascurandola e arrivando ad affidarla irresponsabilmente a Tramonto, dal quale desidera di ricevere amore. Ma questa speranza genera progressivamente conseguenze tragiche. Ed ecco l’invidia, quella provata nei confronti di altri , ma anche sentita su di sé. Un sentimento utilizzato a giustificazione di un tragico errore.
La morte di una innocente provoca nostalgia nella madre di Angela, che per gran parte dello spettacolo, sembra sentirsi nel giusto, difendendo l’operato della figlia, salvo alla fine quando la distanza di valori/non-valori tra le due donne si rende palese; atteggiamento esattamente contrario a quello tenuto dalla cognata Francesca e dalla vicina di casa Antonietta, che sono i personaggi che più di altri ricostruiscono tengono le fila del racconto, anche nei suoi aspetti più macabri.
Lo spettacolo è ben scritto e magistralmente interpretato dagli attori in scena: Mariangela Granelli, Giorgia Senesi, Francesca Porrini, Bianca Pesce, Emiliano Masala, Tindaro Granata.
Drammaturgicamente si nota altresì una sorta di “accanimento” sui particolari riguardanti la tragica vicenda di pedofilia, per cui l’invidia come “antagonista” dell’innocenza e la perdita di valori, a un certo punto, passano in secondo piano. Insolito per uno spettacolo intitolato (con un evidente richiamo evangelico, n.d.r.) Invidiatemi come io vi ho invidiato. Sembra di trovarsi nel salotto di casa ad ascoltare un telegiornale (infatti a un certo punto in scena compare anche un televisore, n.d.r.).
Sorprende davvero come la forza della sola narrazione drammaturgica, considerando l’assenza di immagini, possa rivelarsi un tale “pugno nello stomaco” (contribuisce anche la potenza evocativa dell’interpretazione di Mariangela Granelli e la perfetta non-alchimia emotiva della coppia Angela-Agostino, n.d.r.). E alla fine restano due interrogativi: Angela è colpevole o il suo comportamento può comunque trovare redenzione? Una scrittura così “evocativa” era davvero necessaria?
Teatro